"Io parto per strappare al cielo una stella e poi, per paura del ridicolo, mi chino a raccogliere un fiore" (atto III, scena VIII).
Questo dramma è meraviglioso, capace di raggiungere altissime note di lirismo che fanno vibrare e commuovere e al contempo, persino nella medesima pagina di queste, capace di accendere l’intelletto e le risa con l’ironia e le stoccate del protagonista.
Eppure a tale grandiosità e profondità di linguaggio e a una indiscutibile ingegnosità della trama che, accattivante e coinvolgente, non può che fascinare qualunque lettore, si contrappone una debolezza intrinseca dei protagonisti che è spaesante. Sono tutti fortemente ben caratterizzati, eppure così fatalmente incoerenti con la descrizione che l’autore ne fa!
Cirano possiede ogni dote apprezzabile: è arguto, sagace, ironico, romantico, fedele, attento, possiede il dono della parola e il dono della spada, ed è sprovvisto solo di quello del gradevole aspetto… e a una sola unica trascurabile mancanza lui fa soccombere tutte le sue altre grandi virtù, le sacrifica nascondendole dietro quel naso fuori misura , “che mi precede di un quarto d’ora dovunque io vada” (atto I, scena V). Cirano ha una lucidità di pensiero, una temerarietà d’azione, una limpidezza di spirito, che gli consentono di vedere e di andare al di là delle convenzioni sociali, che lo rendono libero: “Non c’è nulla in me che non risplenda. Sono libero, leale. Le mie verità, quando cammino tra la gente, risuonano come speroni” (atto I, scena IV). Eppure dove sono la sua libertà, se si fa ingabbiare dal suo difetto fisico, e il suo amore per la verità, se inganna se stesso e Rossana e persino il povero Cristiano, stringendo con quest’ultimo un patto che faustianamente ruba all’uno la realizzazione dell’amore dell’anima e all’altro il compimento dell’amore reale… e alla donna amata da entrambi la possibilità di scegliere chi e come amare?
Pare che l’amore per lei renda cieco proprio lui che sa vedere senza veli e non sa accettare compromessi; ma l’amore non dovrebbe valorizzare l’amante invece di depredarlo di ogni virtù? L’amore per Rossana fa scendere l’incorruttibile Cirano al compromesso, conduce l’integerrimo Cirano alla menzogna, fa cedere il temerario e impavido Cirano alla paura… Eppure anche lo eleva in una generosità, in una dimenticanza di sé, in una espressione d’amore tali che ancora pare essere un eroe.
Ed eroe romantico è! Un eroe per il quale è impossibile non parteggiare, un eroe che rimane nel cuore per tutti i suoi pregi e per quella debolezza che lo porta a rinnegarli quasi tutti!!! E per la sua capacità dialettica in guerra e in amore, che sorprende a ogni dialogo, che stupisce facendo nascere una risata inaspettata e anche colpendoti il cuore con una stoccata che intenerisce o commuove o illumina… sulla vita, sull’amore, sulla verità.
Ed è lui stesso a confessarsi così bene: “Già, il mio cuore non fa che nascondersi dietro il mio spirito per pudore: io parto per strappare al cielo una stella e poi, per paura del ridicolo, mi chino a raccogliere un fiore” (atto III, scena VIII); che non gli si può non perdonare.
Rossana è descritta da Cristiano come “colta e preziosa” (atto I, scena II), e da Cirano come “la più splendida, la più fine, la più bionda! […] Un pericolo mortale senza volerlo, dolcissimo senza saperlo – una trappola della natura, una rosa moscata nei cui petali l’amore tende agguati! Chi conosce il suo sorriso ha conosciuto la perfezione. Riesce a fare dalla grazia con un niente, a trasfondere il senso del divino nel più insignificante dei suoi gesti” (atto I, scena V). Ma quello che vede di lei il lettore sono una certa arguzia e un determinato coraggio che, forse apprezzabili, si manifestano nelle scene del matrimonio alle spalle di De Guiche e dell’ardimentosa impresa di attraversamento del campo di battaglia per raggiungere il reggimento dei cadetti. Ma anche una certa leziosaggine capricciosa (si veda la delusione per la mancata eloquenza di Cristiano che precede la famosa scena del balcone), che fa pensare quanto possano essere fondate le paure di Cirano, e riflettere sulla possibilità che la sua mancanza di fiducia non nasca tanto da se stesso e dal proprio viso deturpato, ma dalla superficialità e dalla incapacità di lei di amarne l’anima invece del volto! E, ancora, una premura reale per Cirano (si vedano gli episodi della ferita alla mano e del dirottamento dei piani di De Guiche), che però ha sempre una motivazione egoistica e funzionale ai propri desideri.
La si vorrebbe più attenta, più sensibile, più libera di leggere le verità oltre le convenzioni della forma. Insomma, la si vorrebbe un po’ più come Cirano! E fa male che lei non lo riconosca se non all’ultimo incontro, fa male sapere che lei perda la propria felicità per un imbroglio, di cui in qualche modo è complice e vittima, e fa male sentirla gridare disperata “Io sono stata la tua rovina, io!” (attoV, scena VI), quando lei stessa avrebbe potuto costruire la gioia più piena per entrambi!
Fa così male che è difficile non versare una lacrima per questi due amanti così tristemente destinati...
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