Disturbante, sconvolgente e morboso. Eppure, stranamente e quasi in modo inappropriato, “giusto”. Perché c'è qualcosa di "puro" nella trasparenza e nella sincerità di questo libro così eccessivo e per certi versi spaventoso. La storia di O dovrebbe scuotere e persino far inorridire, e così avviene quando la si racconta a qualcuno che ancora, nonostante il suo successo, non la conosca, ma non mentre la si legge attraverso i suoi occhi. No, immersi nel libro, tutto ciò che le accade appare “normale”, naturale. Perché lo è per lei.
Ma chi è O? Chi è questa donna che non ha neppure diritto a un nome e di cui, al termine del romanzo, ancora non conosceremo i tratti e i colori?
L'autrice non permette al lettore di incontrarla, di affezionarsi a lei, prima di farla precipitare nel suo mondo di sottomissione sempre più estrema. Ci presenta infatti O, senza dirci nulla sulla sua vita e la sua fisionomia, mentre sale in auto col suo “amante” (che ancora non ha un nome) dopo una passeggiata nel parco. Tutto appare regolare, quotidiano, invece l'amante inizia a farle togliere la biancheria intima da sotto gli abiti; lei sembra non capire, ma esegue volentieri, ubbidiente. Come ubbidiente continua a essere quando lui la conduce in un palazzo a lei sconosciuto, ancora mezza nuda, e la consegna nelle mani di persone trasgressivamente abbigliate, in un connubio di sessualità esibita e violenza velata, che la denudano, la truccano dove mai lo è stata prima e le mettono un collare e dei polsini di cuoio. Da questo momento, O non sarà più O – chiunque lei fosse prima – ma solo uno strumento per il raggiungimento del piacere, fisico e psicologico, degli uomini del castello di Roissy e del suo amante, René, che assiste e partecipa ad ogni ingiuria inflitta al suo corpo e alla sua dignità come persona, come fosse un gesto d'amore. O viene ripetutamente violata e frustrata, costretta alla schiavitù sessuale in ogni ora del giorno, educata alla sottomissione attraverso un abbigliamento, un atteggiamento, una postura che la dichiarano sempre aperta e disponibile.
Se a Roissy O è “costretta” ad essere una schiava, perché priva dell'uso delle mani, incatenata e chiusa nel castello (anche se in realtà viene lasciato intendere se ne potrebbe andare, ma è una possibilità che lei non prende mai in considerazione), quando torna nel mondo reale e alla sua vita e carriera, è con un atto di indiscutibile volontà che acconsente a essere prima “condivisa” e poi ceduta al fratellastro di Réne. Con sir Stephen la parabola di sottomissione e degradazione raggiunge i punti più alti ed estremi, compresa la marchiatura a fuoco e la menomazione fisica, sino all'ambiguo, ma comunque infelice, finale.
L'intero romanzo si svolge in un'atmosfera onirica, che ne attenua forse la crudezza. Ma a ridimensionare in modo determinante quello che al primo impatto potrebbe essere considerato un gusto ingiustificato e sessista per la violenza perversa e la sensualità estrema, è l'atteggiamento di O. Lei accoglie tutto quello che le accade con l'accettazione dell'inevitabile, del ragionevole nell'irragionevolezza del sogno, e in qualche modo non risulta mai vittima. Perché non piange per quanto subisce, bensì per la mancanza di punizioni e di attenzione da parte dei suoi padroni: il suo unico dolore nasce dal timore di poter perder l'amore di Réne prima e di sir Stephen poi. Ogni gesto da parte loro, per quanto violento e crudele – anzi, forse proporzionalmente a violenza e crudeltà – è un gesto di amore per O. Se loro la frustano, se loro la violano, se loro la umiliano ed esibiscono orgogliosamente come si fa col bestiame, se loro la condividono con amici o sconosciuti, allora la amano, la desiderano. O esiste solo se è destinataria di questo amore e di questo desiderio. Al punto che diventa lei il punto focale della relazione, tutto è incentrato su di lei. Lei è sì quella che subisce dai suoi padroni, ma questi vengono sempre descritti come quasi restii a ferirla: Réne la porta a Roissy e poi la cede a sir Stephen proprio perché incapace di alzare la mano su di lei, e sir Stephen, che è un padrone molto più rigido e inesorabilmente brutale, appare sempre più riluttante e costretto piuttosto che eccitato dalle sofferenze inferte a O, e più volte si scusa con lei. Dunque, uomini e donna sono nel medesimo “gioco” di violenza, ma mentre lei ne vive e respira, loro sono vincolati a ruoli che, in fin dei conti, per quanto interpretino bene, non sembrano apprezzare così tanto.
Histoire d'O, che è stato oggetto di tante critiche e di altrettanti interpretazioni e dubbi di attribuzione, non è un romanzo edificante, ma nemmeno osceno; non può essere classificato solo come una rivendicazione sociale di stampo femminista o, per contro, maschilista e nemmeno solo come un romanzo erotico. Piuttosto, è un romanzo psicologico sulla costruzione del sé che può avvenire esclusivamente per mano e pensiero e desiderio di altri. Un romanzo che può indignare o affascinare, ma mai scivolare via nell'indifferenza, costringendo comunque a una riflessione.
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