Come Se by
Ōgai Mori
My rating:
3 of 5 stars
Il romanzo, benché breve, si rivela una lettura impegnativa per la profondità dei contenuti. Racconta infatti la
sofferta ricerca del protagonista della verità sul senso della vita, che trova il maggior ostacolo nella
lacerazione apparentemente insuperabile tra Mito e Storia. Hidemaro non vuole rinnegare la Mitologia – che rappresenta le credenze e il senso del dovere su cui si basa la cultura giapponese, una
menzogna che ha la pretesa di porsi come
realtà – e tuttavia ha bisogno di scinderla dalla Storia, di dimostrare che è altro dalla Storia, pur mantenendone il valore e la dignità.
Il romanzo è una menzogna, nel senso in cui tratta dei fatti come verità. Tuttavia il romanzo fin dal principio non pretende di essere la realtà, ma crea un'altra realtà con coscienza della sua menzogna, e così si fa accettare. E in esso c'è vita. C'è valore. Anche la venerabile mitologia è nata in questo stesso modo, e si è fatta accettare. La differenza sta soltanto nella sua pretesa di considerarsi fin dal principio una realtà.
Il disagio profondo che ne consegue, tale da indurlo a isolarsi, deperire, a vivere con un continuo senso di oppressione, diviene accettabile solo con un
atteggiamento di riverenza nei confronti del vivere come se (kanoyoni). Ci sono realtà che noi sappiamo non esistere, ma senza le quali non potremmo fondare l'intera sapienza umana, e quindi dobbiamo vivere
come se esistessero, pur consci della loro irrealtà, della loro menzogna. Sono quelle che il protagonista definisce
menzogne con coscienza. Per esempio, non esistono il punto e la linea e nemmeno gli atomi, ma è necessario considerarli "come se esistessero", altrimenti non potremmo fondare la geometria né la chimica.
Quel "come se" non è affatto un mostro. Senza il "come se", non potrebbe esserci scienza, né arte, né religione. Tutte le cose che hanno valore nella vita umana hanno al centro il "come se".
Questa accettazione di menzogne con coscienza, menzogne imprescindibili e fondanti, menzogne con valore, consente a Hidemaro di
preservare la Mitologia, pur ridefinendola annoverandola tra esse, senza così incappare in asserzioni pericolose, distruttive di quello che è il carattere più profondo del suo popolo e del suo Paese.
Per lui, asserire la non identicità di mito e storia era un dettame della sua coscienza. Ma pur dichiarando ciò, egli pensava di poter proteggere quella parte importante della vita umana che era avvolta dal mito, come fosse il nocciolo sano di un frutto. Riteneva che stabilire quella non identicità di mito e storia mantenendo questa parte importante della vita fosse un suo dovere in quanto studioso, oltre che in quanto uomo.
Eppure, nel finale Hidemaro sembra prendere coscienza dell'inconciliabilità delle sue posizioni "moderne" con quelle "tradizionaliste" del padre, che ai suoi occhi rappresenta l'intera società giapponese, e pare capitolare, sconfitto da quella
dicotomia, questa sì insuperabile, tra individuo e società:
«Ho fatto una cattiva scelta. È una cosa da niente lavorare per distrazione o con menzogna, ma se lo si fa con un atteggiamento sincero e serio, non c'è alcuna via d'uscita. Sfortunatamente ho scelto tale professione. [...] In fin dei conti non ci può essere alcuna speranza che io giunga a un compromesso con mio padre, eh?»
«No, non è possibile ti dico.»
Impegnativo, ma illuminante.
View all my reviews