pubblicato su Diario di Pensieri Persi il 24 maggio 2013
Junkyo è un racconto di morte, di incomprensione, di negazione dei sentimenti. Ma è anche un racconto singolarmente sensuale, di un erotismo sotterraneo e disturbante che, muto, accompagna ogni singola pagina, e si manifesta in due episodi, bruschi e vibranti: un bacio ruvido nella luce spettrale di una notte di luna e un morso che richiede riconoscimento, senza ottenerlo, e colora di rosso la scena, sino a quel momento bicromatica e scura.
Junkyo è un racconto di morte, di incomprensione, di negazione dei sentimenti. Ma è anche un racconto singolarmente sensuale, di un erotismo sotterraneo e disturbante che, muto, accompagna ogni singola pagina, e si manifesta in due episodi, bruschi e vibranti: un bacio ruvido nella luce spettrale di una notte di luna e un morso che richiede riconoscimento, senza ottenerlo, e colora di rosso la scena, sino a quel momento bicromatica e scura.
Impressiona l’equilibrio con cui il giovanissimo Mishima, allora solo ventiquattrenne, costruisce questo breve racconto (del 1948), schizzando con eleganza, poesia e quasi con ferocia ritratti ed eventi e inserendovi in nuce tutti gli elementi che caratterizzeranno poi la sua produzione letteraria e che, probabilmente, rappresentano i suoi turbamenti, manie, ideali più profondi: l’omosessualità, il fascino della nudità maschile, il valore ambiguo della bellezza, il complesso e tormentato rapporto tra Eros e Thanatos.