Questa saga riesce a narrare con eleganza lo scabroso, a tracciare con inattesa deliberatezza una nuova e innocentemente blasfema teologia, a trascinare con equilibrio protagonisti e lettore nelle vicende più estreme, a creare con coerenza un intero nuovo cosmo sulla base di quello storicamente conosciuto…
Ne risulta un piccolo gioiello…
Affrontare ogni aspetto di questo ricco ed epico e straordinario romanzo sarebbe davvero troppo impegnativo! E quasi impossibile sarebbe dire qualcosa che sembri anche solo lontanamente esaustivo delle emozioni e delle impressioni che ho avuto lungo la lettura. Per cui mi limiterò a pochi brevi commenti su ciò che mi ha più fortemente impressionato e a un nutrito capitolo di quotes per ciascun volume.
Camminare mano nella mano con Phèdre è un’esperienza singolare, ammaliante e destabilizzante per il lettore come per i comprimari. Guidata dalla sua intelligenza, dalle straordinarie doti acquisite grazie agli insegnamenti del suo mentore e dalla sua incondizionata devozione a Elua, Naamah e Kushiel, ricambiata con il loro sostegno divino, hai la certezza che Phèdre, pur sbagliando e pur finendo nelle situazioni più dolorose e precarie e mortali, non fallirà… Ma questa fiducia in lei che va sempre più consolidandosi lungo il romanzo, questa sicurezza che trasmettono il suo intuito, il suo coraggio, le sue capacità, il suo essere pedina di dei, sembra continuamente infrangersi se invece si è accanto a Phèdre quando ha a che fare col suo cuore, perché quasi sempre si vorrebbe lei seguisse un’altra strada, usasse parole differenti, scegliesse modi diversi. Il suo essere serva di Naamah e ancor più il suo essere prescelta di Kushiel le fanno fare scelte e provare emozioni a volte davvero difficilmente condivisibili. E talvolta pare l’autrice forzi queste situazioni in modo innaturale. Splendida eccezione è il terzo capitolo della saga: forse per la maturazione della protagonista, forse per merito dell'autrice o più probabilmente solo perché si è entrati profondamente nel cuore di Phèdre al punto da comprenderla e amarla e giustificarla, proprio come fa Joscelin.
Il primo volume è evidentemente un romanzo d’iniziazione: seguiamo il cammino di Phèdre dall’infanzia, dal momento in cui viene ceduta dalla madre a Casa Cereo come lo sgravio indesiderato di una puttana, a quando la sua vita cambia grazie a due semplici parole: la prescelta di Kushiel; e poi attraverso la sua istruzione, l’inizio della sua vita come cortigiana serva di Naamah e al contempo spia dell’amato mentore Delaunay, sino alla perdita degli affetti e di ogni cosa materiale, al tradimento che la porta a vivere da schiava presso gli Skaldi, alle dure prove che supera eroicamente e infine al successo e all’amore!
È interessante, a livello narrativo, come avvenga in questo primo libro una sovrapposizione, o meglio ancora una incarnazione, tra le figure di Phèdre e Naamah da una parte e quelle di Joscelin e Cassiel dall’altra: i due protagonisti finiscono col ripetere le scelte e i passi che fecero i due angeli nel loro cammino accanto a Elua, divenendone immagine concreta e attuale.
Il vero punto di svolta nella crescita psicologica del personaggio di Phèdre avverrà solo nel secondo libro, nella grotta del thetalos, dove farà i conti con il prezzo del suo orgoglio: le morti che gravano sulla sua coscienza, il dolore provocato a chi ama; e la definitiva maturazione arriverà nel terzo con il doloroso soggiorno nella zenana del mahrkagir, dove Phèdre si troverà viso a viso con il lato più oscuro del dono del Dardo di Kushiel, con l’incredibile conquista del Nome di Dio, e soprattutto con le scelte definitive che compirà, la più importante delle quali sarà quella della maternità.
In questo modo il cammino di crescita di Phèdre si allarga all’intera trilogia, acquisendo ad ogni libro un tono e una caratteristica differenti e sempre più profondi.
Mi ha affascinato il sincretismo religioso e culturale con cui la Carey ha creato il suo universo. Culturalmente ha armonizzato la Francia medioevale con il Karyukai (mondo del fiore e del salice) delle geishe: impossibile non rivedere nelle Tredici Case e nella loro struttura interna gli Hanamachi (i quartieri delle geishe) e gli okiya (le case in cui vivevano), o nei patroni la figura del danna e dei vari clienti, o nella prima assegnazione il mizuage, o ancora nella marque la progressiva conquista del kimono, dello ware-shinobu e dell’ohikizuri e in un certo qual modo anche del riscatto della propria indipendenza tramite il risarcimento completo alla propria okāsan… Armonizzazione che però è anche raffinazione ed elevazione di entrambi i mondi, soprattutto grazie alla componente religiosa, che è fondante per la Terre d’Ange.
A livello religioso la Carey ha rivisitato intere teologie storiche e i loro pantheon, pur mantenendole in qualche modo riconoscibili, e persino “fantasticando” su una possibile loro evoluzione storica e dottrinale. In particolare mi riferisco certamente a Elua e i Compagni che rappresentano per il Cristianesimo quella stessa dimensione di prosecuzione e rottura che il Cristianesimo è stato, storicamente, per l’Ebraismo; ma soprattutto mi riferisco agli Yeshuiti che paiono essere una bizzarra sincresia di Ebraismo e Cristianesimo storici, proprio come se l’Ebraismo avesse riconosciuto Cristo come il Messia tanto atteso e accolto i suoi insegnamenti, cosa che sappiamo non essere affatto avvenuta; e ancora alla particolare condizione dei Sabeani, che fanno da contraltare agli Yeshuiti, perché incarnano quella parte dei figli di Yisra-el che si nasconde dall’ira dell’Unico Dio, Adonai, isolandosi dal resto del mondo, e che per questo è rimasta all’oscuro della venuta di Yeshua ben Yosef, il Mashiach, e quindi anche del suo illegittimo figlio Elua, ancorandosi così ancora alle verità veterotestamentarie.
Inoltre vengono riconosciute ad ogni religione una autenticità di culto, che fa sì che la religione sia sempre un mezzo piuttosto che una verità, e una radice comune facilmente riscontrabile, che fa sì che dietro a ogni pantheon si possa riconoscere la mano della Madre Terra, che prende così svariati nomi e differenti caratterizzazioni a seconda dei popoli che la venerano. Unica eccezione è rappresentata nel terzo libro dalla religione dualista del Drujan, dove sia il Signore della Luce, Ahura Mazda, sia il Signore delle Tenebre, Angra Mainyu, risultano infine duri, sterili e privi di compassione.
QUOTES
Il dolore cancella ogni altra cosa; in esso esiste solo l’eterno presente. Vi precipitai come in un pozzo buio e senza fondo e scorsi la maschera bronzea di Kushiel appesa davanti a me, severa e compassionevole. Le sue labbra si mossero, pronunciando parole che percepivo nelle ossa. Il dolore riscatta tutto: rappresenta la consapevolezza della vita e, al tempo stesso, un monito di morte.
(Kushiel’s dart)
"Lo so" disse con gentilezza, mettendosi al mio fianco. "Lo sai, vero, che non potrei mai farti del male… nemmeno se tu me lo chiedessi?"
"Lo so." Presi un profondo respiro e gli strinsi il braccio. Un’anguisette e un cassiliano; che Elua ci aiuti! "Siamo sopravvissuti a trentamila skaldi e all’ira del Signore dello Stretto. Dovremmo essere in grado di sopravvivere l’uno all’altra." Joscelin rise piano e io nascosi il viso contro il suo petto. C’era così tanto tra noi…ma altrettanto sarebbe sempre stato in mezzo a noi. Tuttavia, sapevo di non voler vivere senza di lui.
(Kushiel’s dart)
A volte ho sentito la gente lamentarsi del fatto che il nostro destino è avvolto nel mistero; io credo, invece, che sia una specie di benedizione: senza dubbio, se sapessimo in anticipo quali amarezze tiene in serbo il fato, ci chiuderemmo in noi stessi per la paura, lasciando che il calice della vita ci passi accanto senza gustarlo.
(Kushiel’s dart)
Il primo tocco fu il più squisito. Le sottili strisce di cuoio mandarono rivoletti di dolore lungo tutta la schiena, provocandomi un tremito infuocato alla base della colonna vertebrale. Una, due, tre volte… Avrei potuto rabbrividire per giorni a quell’estatica sofferenza, semplicemente coltivandone il ricordo. Ma il castigatore continuò e i rivoletti si gonfiarono in torrenti, in fiumi, in un’ondata di dolore che infine mi sopraffece, sommergendomi. Fu allora che cominciai a implorare.
(Kushiel’s dart)
Per quanto fosse fedele al proprio scopo in modo glorioso, meraviglioso e ostinato, amarlo era come afferrare un coltello, una fiammata di puro dolore che mi teneva ancorata a me stessa. Il pugnale di Cassiel, con cui Elua rispose ai messaggeri dell'Unico Dio; il servo di Cassiel, pietra di paragone del mio cuore spezzato da un dardo.
(Kushiel's chosen)
Ama a tuo piacimento. Sono degli sciocchi coloro che considerano Elua un dio debole, adatto soltanto alla venerazione di amanti particolarmente sdolcinati. Che i guerrieri invochino pure a gran voce dei di sangue e di tuono; l'amore è duro, più duro dell'acciaio e tre volte più crudele. È inesorabile come la marea, e vita e morte seguono la sua scia.
(Kushiel's chosen)
Distolsi lo sguardo a forza e seguii gli altri che che si stavano allontanando, la mano di Joscelin sul gomito a guidarmi quando i piedi incespicavano, ad ancorarmi; il suo amore era il pugnale su cui fissavo la bussola del mio cuore.
(Kushiel's chosen)
Le stelle erano luminose e vicine, raggruppate in grappoli di diamanti che spiccavano contro la vellutata oscurità. Nonostante il freddo, mi piaceva camminare sul ponte a guardarle, domandandomi se una tale bellezza fosse stata creata con uno scopo. La bellezza ispira l'amore; così si dice in Terre d'Ange. Era stato fatto in modo che potessimo ritenere questo mondo degno di essere amato? Possibile. Non ero una sacerdotessa né una filosofa, per trovare nelle stelle la risposta agli enigmi del mondo. Sapevo soltanto che erano belle e che risvegliavano il mio animo. Ed ero contenta di riuscire ancora a commuovermi di fronte alla bellezza.
(Kushiel's Avatar)
Lo amavo; lo amavo ancora. E quando il suo sorriso risplendeva, pronto a perdonare un errore; quando si addestrava instancabile, stagliato contro il cielo scintillante; quando risuonava la risata di Imriel, stupito e gioioso... lo amavo ancora di più, al punto che mi faceva male il cuore, divenuto troppo vasto per i limiti del mio corpo. Eppure non ci eravamo neanche baciati. Troppe ombre si frapponevano tra noi, tutte nate in Drujan. Io sono un'anguisette; lo sono da tutta la vita. Al pari di Joscelin, mi ero fatta strada grazie all'equilibrio; tra il lato destro e il sinistro, tra il piacere e il dolore, tra l'amore e quello che non lo era. A un certo punto, a Darsanga, ero andata troppo oltre. E qualcosa in me si era spezzato, proprio come le ossa del suo braccio. Non sapevo come fare a tornare indietro. E così li guardavo e ne ero felice, cogliendo piacere di seconda mano laddove potevo, nel mare incontaminato e nel vento, nel sangue che riprendeva a scorrere in muscoli devastati e nell'arco disegnato dall'acciaio che fendeva il cielo, nel suono della risata di un bambino.
(Kushiel's Avatar)
Non servivano sogni né veggenti per quell'avvertimento. Sotto il languore del piacere, sentivo nelle ossa la stanchezza del lungo viaggio, e delle innumerevoli miglia che mi aspettavano... e in lontananza, come corni da caccia che emettono le loro note nel vento, il richiamo della giustizia di Kushiel. Tieni tutto questo stretto al tuo cuore. I nostri capelli intrecciati, i nostri destini uniti, riposavano sul suo petto. Fissai il volto di Joscelin, rilassato e indifeso, come per inciderlo nella memoria.
"Perché mi guardi così?" chiese.
"Perché ti amo."
(Kushiel's Avatar)
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