Ho letto tutti i libri pubblicati in Italia di Banana Yoshimoto. Hanno accompagnato i primi anni dei miei venti, quelli in cui si esce da quello strano limbo di incomprensione e isolamento che caratterizza l’adolescenza e si scopre che altre anime possono sentire – e sentono – quel che sentiamo noi, fanno le nostre esperienze, piangono le stesse lacrime, ridono delle stesse bizzarrie. Nelle realtà e nei personaggi tratteggiati dalla Yoshimoto – perché questo fa, tratteggia, con la sua scrittura leggera e fresca, dinamica e diretta, quasi una rielaborazione letteraria dello stile narrativo e espressivo dei manga – ho potuto rispecchiarmi (come in Shirakawa Yofune - Sonno Profondo) o saziare la mia sete di scoperta delle emozioni degli altri (come nel meraviglioso Tsugumi o nell’intenso Kitchen). Sono altri gli autori giapponesi che mi hanno illuminato, svelato nuovi orizzonti, insegnato (Mishima, Murakami, Tanizaki, Kawabata, Basho…), ma Banana è stata l’amica giapponese, una sorta di corrispondente dal Paese che più amo, con cui passare a ogni occasione (la pubblicazione di un suo nuovo romanzo o la rilettura) qualche ora insieme a scambiare confidenze, a raccontare impressioni, a scoprire usanze e modi di pensare, a sondare gli animi.
Per tutto questo, leggere Iruka è stata un’esperienza un po’ triste e malinconica; come quando ci si ritrova entusiaste ed emozionate per un caffè con la migliore amica delle medie, incontrata per caso dopo tanti anni, solo per scoprire di aver poco o nulla da dirsi e da condividere, di non riconoscersi più. In realtà, in Iruka non mancano i temi cari alla Yoshimoto: la Morte (motore onnipresente di emozioni e situazioni nelle sue opere), la potenza dei simboli, l’efficacia dei sogni, poteri paranormali, amicizie e amori che nascono immediati e saldi grazie a una viscerale armonia delle anime e non per una lunga frequentazione, per l’impegno nel costruirli, per i compromessi per mantenerli. Eppure, è come se con l’età Banana abbia perso la forza della sua scrittura, la sua genuinità, la sua freschezza, e abbia lasciato sbiadire i colori brillanti di quel sottomessaggio che parlava di energia, di voglia di vivere, di rinascita (che qui non manca, anche se solo nel finale, ma è assolutamente fiacco e inefficace).
La protagonista di questo libro, Kimiko, è una giovane donna piuttosto insipida, che vive di novità appaganti e di fughe appena queste diventano insoddisfacenti, una donna cui la vita scorre accanto senza che l’afferri, senza lottare per qualcuno, senza puntare a qualcosa. Più che fatalismo, a tratti verrebbe da imputarle una disonorevole ignavia. Mi è parso si contraddicesse più volte e ho davvero faticato a ritrovarmi nelle sue riflessioni e nelle sue analisi sull’umanità, sulla vita e su se stessa: troppo distanti da me, spesso poco brillanti, talvolta persino poco lucide.
Andando a rileggere le frasi segnate durante la lettura, mi accorgo di quanto, estrapolate dal contesto, appaiano profonde e vitali; eppure, all’interno della trama erano svuotate di ogni significato e, anzi, l’appesantivano, come se ne fossero delle intruse. Forse, semplicemente e tristemente, Banana e io parliamo ormai lingue diverse, non ci capiamo più, non ci riconosciamo più.
Sarebbe stato bello invece crescere insieme.
“Quello era il punto dove ero giunta partendo dal precipizio dei miei sogni. Gli eventi si erano susseguiti con una rapidità tale da non riuscire a tenere il passo con la realtà, tanto da desiderare che qualcun altro registrasse tutti quei cambiamenti. Eppure il succedersi di quegli istanti rappresentava, per me e nessun altro all’infuori di me, una quantità incredibile di dati che avevo immagazzinato molto concretamente. Una quantità spaventosa di memorie che mi si era impressa nel corpo, nelle cellule, nel cuore, che si sarebbero cancellate soltanto con la mia morte. Ricordi di cui io sola conoscevo i dettagli. Il mio, quello di mia sorella, di mio papà, di Gorō e di Akane, i nostri mondi differenti si erano incontrati solo per un po’ e gli universi sconfinati dei nostri ricordi erano andati espandendosi giorno dopo giorno. Anche solo per quello, non potevo non pensare alla meraviglia di essere viva.”
Titolo: Delfini
Titolo originale: Iruka
Autore: Banana Yoshimoto
Editore: Feltrinelli
Pagine: 175
Trama: Kimiko, giovane scrittrice di romanzi d'amore, esce con Goro. Una sera, dopo una visita all'acquario di Tokio per vedere i delfini, fanno l'amore, ma Kimiko capisce subito che la loro storia non ha futuro; Goro convive infatti con un'altra donna, più grande di lui e dalla quale non vuole separarsi. Kimiko decide allora di abbandonare Tokio per trovare rifugio in un tempio vicino al mare, dove conosce Mami, ragazza dalle doti soprannaturali. È da lei che viene a sapere di essere incinta. Le notti di Kimiko, i suoi sogni, si popolano di delfini, meravigliose creature che l'accompagnano, insieme ad Akane, la bambina che porta in grembo, verso un futuro che non si era immaginata. Un romanzo molto intimo, quasi privato, che apre una nuova area di esperienza emozionale del mondo di Banana Yoshimoto.
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