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Ho aperto questo piccolo spazio per me, per raccogliere recensioni ed articoli scritti in questi anni come blogger (per Diario di Pensieri Persi) e redattrice (per Speechless Magazine e urban-fantasy.it), ma soprattutto come la lettrice maniaco-compulsivo-ossessiva che sono da sempre (eccomi su aNobii). Ma se tu, che ci sei capitato per caso, trovassi qualcosa di utile o interessante e magari desiderassi fermarti un poco per confrontarci e scambiare qualche chiacchiera sui libri, non potrò che esserne felice.

giovedì 14 maggio 2020

Cento haikuCento haiku by Irene Iarocci
My rating: 4 of 5 stars

Interessante, ma troppo breve per la fame di sapere e capire di più che stuzzica, la prefazione dell'autrice, e davvero gratificante la cura meticolosa che ha impiegato nel tradurre ogni sfumatura, ogni parola, ogni pausa, ogni silenzio. Ma il pregio più grande del libro, forse, è sentirsi accompagnati pagina dopo pagina, grazie alle note che seguono ogni componimento, che danno la sensazione di avere accanto una guida che con discrezione, senza essere mai invadente, spiega, svela e suggerisce.


Vento d'autunno –
Allo sguardo
Tutto è haiku.


Takahama Kyōshi

Cadono i fiori di ciliegio
sugli specchi d'acqua della risaia:
stelle,
al chiarore di una notte senza luna.


Yosa Buson

Una parola uscita di bocca
Fredda le labbra,
Qual vento d'autunno.


Matsuo Bashō

Frinir di cicale stamani –
Tornano a me
Tutti gli amori
E odii.


Ishida Hakyō




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100 Proverbi Giapponesi: Proverbi, espressioni e modi di dire giapponesi illustrati, spiegati e con esempi d'uso [in bianco e nero]100 Proverbi Giapponesi: Proverbi, espressioni e modi di dire giapponesi illustrati, spiegati e con esempi d'uso [in bianco e nero] by Aki Kaku
My rating: 3 of 5 stars

Tre stelline e mezza

Un volumetto che risulta interessante sia per lo yamatofilo, che ritrova qualche sfumatura dello spirito del popolo giapponese, sia per chi conosca la lingua o la stia studiando, che può arricchire la propria fraseologia e comprensione grazie a questi cento proverbi. Tuttavia, piccolo neo, il libro sembra più una dispensa scolastica che un testo divulgativo rivolto a tutti, a causa del tono didattico e di una certa mancanza di uniformità nell'esposizione. La lettura è comunque davvero piacevole e il layout delle pagine carinissimo!

Tsuki ni murakumo hana ni kaze.
La luna è offuscata dalle nubi, i fiori sono dispersi dal vento.

Au wa wakare no hajime.
Incontrarsi è l'inizio di un addio.

Warau kado ni wa fuku kitaru.
Al portone dove si ride si presenta la fortuna.



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domenica 26 aprile 2020

Dieci notti di sogniDieci notti di sogni by Natsume Sōseki
My rating: 4 of 5 stars

Ho fatto questo sogno (こんな夢を見た - Konna yume o mita).
Così comincia il primo di questi dieci racconti, sfuggenti proprio come i sogni. È sfuggente il tempo – cento anni passano in poche righe, il sole sorge e tramonta nell'arco di brevi istanti, da Oriente o forse da Occidente. Sfuggenti sono la sequenzialità e lo spazio – il sognatore è protagonista del sogno un attimo e quello dopo ne è solo uno spettatore, si trova in luoghi ed epoche a lui tanto distanti, incontra amici e sconosciuti, figure famose del passato, demoni e kami. E infine è sfuggente il senso sotteso a ciascun racconto, il messaggio che si vorrebbe cogliere, ma che ogni volta che si pensa di avere afferrato scivola tra le dita, inconsistente eppure non indifferente: lascia sempre una traccia, un'emozione, la sensazione di avere scorto qualcosa di importante.

Ho trovato meraviglioso e poetico il sogno della prima notte; evocativo e forse più comprensibile di altri in una chiave psicologica il sogno della settima sulla nave; struggenti quelli della quinta e della nona, in cui la speranza viene ingannata e derisa. Davvero inquietante il sogno del fardello della terza notte e interessanti quello della seconda, in cui il samurai cerca inutilmente l'illuminazione, e quello della sesta, con la presenza del famoso scultore Unkei. Lontani invece dal mio sentire, almeno in questa stagione della mia vita, i sogni della quarta, ottava e decima notte.

La prima notte
Mi sedetti sul muschio. "Dovrò attendere così per cento anni" pensai mentre guardavo, a braccia conserte, la pietra tombale rotonda. Di lì a poco, proprio come aveva detto la donna, il sole sorse da est. Era un grande sole rosso. E così come lei aveva predetto, poco dopo tramontò a ovest, all'improvviso e ancora rosso com'era. Uno, contai.
Dopo un po' quel luminosissimo corpo celeste cominciò di nuovo a sorgere piano. E in silenzio tramontò. Due, contai.
Non so quanti soli rossi vidi stando lì a contare in quel modo. Contavo e contavo, un numero quasi infinito di soli rossi passò sopra la mia testa. Eppure non erano ancora passati cento anni.


La seconda notte
Ma resistetti e rimasi seduto immobile. Fino a che una tristezza quasi insopportabile mi riempì il petto. Quella tristezza sollevava tutti i muscoli del mio corpo e aveva una gran furia di uscire dai pori della pelle. Ma era tutto ostruito, non c'era alcuna via d'uscita.

La terza notte
Pioveva da un po' e la strada diventava sempre più buia. Ero come in un delirio. E quel demonietto che mi stava attaccato alla schiena come uno specchio che non si lascia sfuggire assolutamente alcun particolare rifletteva e illuminava il mio passato, il presente e il futuro in ogni suo dettaglio. E per di più quello era mio figlio. Ed era cieco. Non ne potevo più.

La quarta notte
Ma il vecchio continuava a cantare
Diverrà profondo! Si farà notte!
Diverrà dritto!
e continuava a procedere avanti sempre dritto.

La quinta notte
Il generale guardò il mio volto attraverso il fuoco del falò. "Vivere o morire?" mi chiese. A quei tempi si usava chiedere comunque questa cosa a tutti i prigionieri. Se rispondevi vivere significava che ti eri arreso; se rispondevi morire significava che non ti sotto mettevi. "Morire" risposi.

La sesta notte
Poi finalmente mi resi conto che delle divinità guardiane non potevano essere sepolte in nessun tipo di legno dei giorni nostri, l'epoca Meiji. Allora capii, grossomodo, anche la ragione per cui Unkey era rimasto in vita fino ad oggi.

La settima notte
Tutto mi diventò ancora più tedioso e infine presi la decisione di morire. Allora una sera, quando attorno a me non c'era nessuno, senza esitare mi gettai in mare. Ma nell'istante in cui il piede si staccò da ponte di coperta, quando recisi il mio legame con la nave, improvvisamente la vita mi diventò preziosa. [...] Ma era ormai troppo tardi per trarre alcun vantaggio da questa mia intima comprensione e così continuai a cadere silenziosamente verso quelle onde nere avvolto da un infinito terrore e un infinito rimorso.

L'ottava notte
Pagai il conto e quando uscii dal negozio vidi sulla sinistra della soglia circa cinque secchielli messi lì in mostra. Dentro c'erano moltissimi pesci rossi, alcuni di colore rosso, altri maculati, alcuni magri e altri grassi. Dietro i secchi c'era il venditore che, il mento tra le mani, guardava fisso quei pesci disposti davanti a sé. Non prestava alcuna attenzione al chiassoso viavai dei passanti. Restai lì un po' in piedi a osservarlo. Lui non si mosse nemmeno un po' per tutto il tempo che lo stetti a guardare.

La nona notte
Cominciava a esserci una vaga inquietudine nel mondo. Pareva che da un momento all'altro potesse scoppiare una guerra. [...] Eppure dentro quella casa c'era un profondo silenzio.

La decima notte
In quel momento, guardando dall'altra parte, Shōtarō si accorse che la verde piana era ricoperta fin dove si esauriva la vista di centinaia di migliaia di maiali, un enorme branco che avanzava grugnendo e puntando verso lui sul bordo del precipizio. Shōtarō rabbrividì d'orrore fino al midollo, ma non aveva altra scelta, e continuò a battere uno a uno cortesemente con il suo bastone da passeggio la punta del muso dei maiali che si avvicinavano.[...] Facendo disperatamente appello a tutto il suo coraggio, Shōtarō continuò a colpire, grugno dopo grugno, per sei notti. Ma infine la sua forza si esaurì e le mani gli divennero molli come l'impasto gelatinoso del konyaku tanto che i maiali finirono con leccarlo. Così cadde nel precipizio.


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venerdì 24 aprile 2020

Le ricette della signora TokuLe ricette della signora Toku by Durian Sukegawa
My rating: 4 of 5 stars


 
Respirare il profumo del vento e sentire lo stormire degli alberi. Sono più di sessant'anni che mi esercito, che sento la voce di ciò che non ha voce. È quello che definisco "essere all'ascolto".



Un delizioso, poetico e struggente inno alla vita.
Scritto con una delicatezza e un ritmo cadenzato che accompagnano piano il lettore, pagina dopo pagina, a intraprendere quello stesso percorso di scoperta e rinascita che compie il protagonista.
La malattia, il fallimento, la morte sono ostacoli reali e dolorosi da affrontare con lo spirito dei poeti:
 
Diventare come dei poeti era l'unico modo di vivere per noi, ha detto. A guardare la realtà così com'era, veniva voglia di morire. L'unica soluzione per oltrepassare la siepe era vivere come se l'avessimo già fatto.



E la signora Tokue ha condotto così la sua esistenza, segnata dalla malattia, dalla rinuncia, dalla lacerazione dalla famiglia prima e dalla società poi. E insieme alla sua ricetta perfetta dell'an, lascia in eredità a Sentarō anche questa piccola, eppure preziosa sapienza che ha accumulato, trasmettendogli il suo entusiasmo per le piccole cose, la sua premura, il suo desiderio di ascoltare, comprendere, abbracciare il mondo che la circonda.
 
Nel chiaro di luna tutto splendeva d'un azzurro pallido e gli alberi ondeggiavano come animati di volontà propria. Su quel sentiero in mezzo al bosco ero proprio sola di fronte alla luna.
Com'è bella, pensai. Completamente rapita, dimenticai persino che stavo combattendo contro una malattia terribile e che non potevo uscire dalla recinzione.
È allora che ho avuto la netta sensazione di sentirla. Ho avuto l'impressione che la luna si rivolgesse a me con un sussurro:
Volevo che tu mi guardassi.
È solo per questo che brillo.
Da quel momento in poi tutto mi è apparso sotto una luce diversa. Senza di me, quella luna piena non sarebbe esistita. Non sarebbero esistiti nemmeno gli alberi. E neppure il vento. Senza il mio sguardo, tutte le cose che vedevo sarebbero scomparse. Era tutto lì il discorso.
E se né io né gli esseri umani fossimo esistiti, cosa sarebbe successo? Se il mondo fosse stato privo non solo degli umani, ma di tutti gli esseri dotati di emozioni, cosa sarebbe successo?
Questo mondo quasi infinito sarebbe scomparso del tutto.
Forse lei mi considererà molto presuntuosa, signor principale. Ma questo modo di pensare mi ha trasformata.
Noi siamo nati per guardare e ascoltare il mondo . E il mondo non desidera altro. Perciò, anche se non potevo diventare insegnante o lavorare, il mio essere venuta al mondo aveva un senso.
[...] E la risposta è che... la vita ha un senso, oggi lo so per certo.




La vita ha un senso. E deve essere celebrata. Sempre.

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martedì 21 aprile 2020

Mia amata YurikoMia amata Yuriko by Antonietta Pastore
My rating: 4 of 5 stars

Leggere questo libro è stato un po' come incontrare per caso uno sconosciuto e scoprire, sin dal primo sguardo, che aveva qualcosa di familiare, come se, pur non essendoci mai visti, condividessimo un mondo, un sentire... E lo sconosciuto ha iniziato a raccontarmi di questo mondo, a me già noto e tanto caro, animandolo però con personaggi nuovi, tratteggiati con delicatezza, quasi premura, rendendoli vividi, reali. Con passi cadenzati e sapienti, ha condotto la narrazione, avvincendo la mia curiosità e il mio interesse sino all'ultima parola, in un'alternarsi di confidenze, rivelazioni, riflessioni, affetto, poesia.
Lo spinge contro sua voglia la luna
nel suo sentiero di nuvole,
e s'incammina il suo corpo
e intanto il cuore rimane.

Izumi Shikibu

Accogliente. Non potrei definire altrimenti questo romanzo che sin dalla prima pagina mi ha in qualche modo fatta sentire a casa. Uno di quei volumi che vanno a ingrossare le fila dei rari e preziosi comfort books.

 
(view spoiler) Ma dove sta scritto che solo le persone forti hanno diritto a essere felici? Perché mi è stata importa una rinuncia tanto amara?




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Un marito illuminatoUn marito illuminato by Ryūnosuke Akutagawa
My rating: 3 of 5 stars

Questo racconto breve, che all'apparenza potrebbe banalmente narrare la storia di un amore idealizzato, (view spoiler) in realtà propone una metafora tagliente, già annunciata dall'ironia sottilmente polemica del titolo. Il protagonista è in un certo senso lo specchio del Giappone dell'epoca, del Giappone che ha sacrificato la sua essenza più vera in favore della mostruosa maschera occidentale. Miura ha infatti uno spirito legato agli antichi ideali, ma ha accolto le usanze occidentali, come denotano il suo abbigliamento e l'arredamento della sua casa. E questa coabitazione in lui delle due anime, o meglio di un'anima e di un'apparenza esteriore, è votata alla delusione e al fallimento. L'incontro con la "moglie moderna" è la pietra di inciampo che svela questa fallibilità. Miura è disposto a morire per far brillare un ideale – nella contingenza, l'amore vero e puro – è disposto al sacrificio per il senso del dovere, proprio come i samurai della Ribellione Shinpuren per realizzare il sogno di riportare il Giappone dell'era Meiji alla perduta amenità dell'Era Tokugawa.

 
[...] andammo a vedere un dramma ispirato alla Ribellione Shinpuren. Ricordo che fu dopo la scena finale, quella del suicidio rituale da parte di Ono Teppei, che Miura improvvisamente si voltò verso di me per chiedermi, con quell'espressione seria del volto: «Non provi una certa simpatia per loro?».
Ancora fresco dei miei studi all'estero, detestavo qualsiasi violento retaggio di quel passato ormai screditato, quindi risposi freddamente: «No. Mi sembra naturale che coloro che fomentarono un'insurrezione a causa di un'ordinanza che proibiva di portare la spada fossero destinati all'autodistruzione».
Miura scosse la testa con un'aria insoddisfatta «La loro causa può essere stata sbagliata, ma la loro volontà di morire per essa merita comprensione, o qualcosa di più».
Allora lo rimbeccai con una risata: «Certo, come non invidiare qualcuno che getta via la propria unica vita per il sogno infantile di riportare la generazione del periodo Meiji alla perduta Età dell'Oro?».
Ma la sua risposta fu ancor più seria e definitiva: «Non potrei desiderare nulla di meglio che morire per un sogno infantile in cui abbia davvero creduto».



Eppure, proprio come questi falliscono e vengono trucidati e addirittura ora derisi perché il loro sacrificio è stato vano, Miura scopre che l'ideale per cui vorrebbe morire non esiste più, perché è stato reso impuro, si è incarnato in una realtà talmente disprezzabile che non vale più la pena morire per esso.
 
Miura, con il suo volto pallido e sottile, i lunghi capelli divisi nel mezzo, guardò il sorgere della luna e improvvisamente emise un lungo sospiro, osservando tristemente, seppure con un sorriso: «Una volta, qualche tempo fa, definisti un sogno infantile la causa dei ribelli dello Shinpuren e la loro volontà di combattere sino alla morte. Be', forse ai tuoi occhi anche la mia vita matrimoniale...».
«Forse. Ma significherebbe anche che nel giro di cento anni il nostro obiettivo di raggiungere un moderno illuminismo somiglierà altrettanto a non più che un sogno infantile».



Esteticamente impeccabile come sempre la prosa di Akutagawa, capace di tratteggiare con le parole immagini superbe e vivide.


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domenica 19 aprile 2020

Diario di HiroshimaDiario di Hiroshima by Michihiko Hachiya
My rating: 4 of 5 stars

A fine lettura, il cuore protesta che un libro simile avrebbe dovuto essere letto tutto d'un fiato, in una apnea lunga 254 pagine, per sentire meno male, per godere di quella sorta di anestesia, benché parziale, che sviluppiamo davanti a un'esposizione prolungata al dolore. Invece l'anima risponde che no, è stato giusto proseguire così, centellinando le pagine, i capitoli, per vivere con il dottor Michihiko Hachiya lo sconcerto, la paura, i piccoli quotidiani passi che lo hanno condotto da una parte alla scoperta delle risposte cliniche ai tanti interrogativi sulla morte a volte inspiegabile dei pazienti colpiti dalla pika-don, e dall'altra all'accettazione della sconfitta, della fallibilità dell'Impero, nonostante le colpe siano fatte ricadere sul comparto militare, becero e grezzo, e mai sul divino imperatore. Le reazioni, le annotazioni, le emozioni del dottor Hachiya sono espresse con una pacatezza e una lucidità scevre da qualunque vittimismo e drammaticismo individualista, così squisitamente giapponesi che un lettore frettoloso potrebbe fraintendere e scambiare per freddezza. Invece ogni pagina di questo diario è un prezioso insegnamento per tutti. Sulla Storia e sull'Uomo. Un confronto a cui non sottrarsi.
Da leggere.


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AmoreAmore by Yasushi Inoue
My rating: 4 of 5 stars

Tre brani che raccontano l'amore in un'essenza squisitamente giapponese e tuttavia al contempo insondabilmente universale, nella sua forza salvifica così come nella sua dimensione egoista, miserabile, fallibile. In una parola, umana.

"Non aveva così tanta paura di morire. Un uomo non può restare fermo in un punto per sempre. Come chi non ha più nessun luogo dove andare, e alla fine si limita a seguire l'unica strada che gli resta, Sugi cominciò a dirigersi verso la cima della scogliera."


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HokusaiHokusai by Francesco Morena
My rating: 4 of 5 stars

Presentazione organica e puntuale della biografia del grande maestro Hokusai. Il compendio iconografico, lungi dall'essere esaustivo vista la grande produttività dell'artista, è ricco e gratificante, e i riquadri monotematici volti a contestualizzare storicamente e culturalmente sono ottime e utili sintesi. Gradevolissimo!

Pennello di Manji, il vecchio pazzo per la pittura, all'età di novanta anni.

(firma apposta da Hokusai - che aveva adottato verso la fine della sua vita il nome Manji - a Scimmia addestrata che mangia pesche rubate, 1848)


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SogniSogni by Ryūnosuke Akutagawa
My rating: 4 of 5 stars

Le edizioni Via del Vento hanno selezionato per questa antologia cinque piccoli gioielli inediti di quello che viene considerato il maestro giapponese del racconto breve. Se i primi due racconti (Bisei no shin e Onna), che fanno parte della produzione giovanile dell'autore, mi hanno letteralmente incantata – il primo con un lirismo struggente e poetico, il secondo con descrizioni da assaporare parola per parola, immagine per immagine sulla maestosità, sulla generosità e sulla crudeltà della natura – gli altri tre (Shigo, Taneko no yuutsu e Yume), pur con il loro carattere più intimistico, lo stile apparentemente meno curato, la dimensione onirica, frammentata, a tratti quasi incompiuta, il senso di disagio, di inquietudine che trasmettono, non sono meno preziosi e potenti. In particolare Shigo mi è parso di una sincerità e trasparenza disarmanti: ricco di simbolismi, utilizza il sogno come espediente narrativo per aprire una finestra sull'inconscio – che in realtà è oltremodo conscio – dell'artista, morto suicida solo due anni dopo.


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Come SeCome Se by Ōgai Mori
My rating: 3 of 5 stars

Il romanzo, benché breve, si rivela una lettura impegnativa per la profondità dei contenuti. Racconta infatti la sofferta ricerca del protagonista della verità sul senso della vita, che trova il maggior ostacolo nella lacerazione apparentemente insuperabile tra Mito e Storia. Hidemaro non vuole rinnegare la Mitologia – che rappresenta le credenze e il senso del dovere su cui si basa la cultura giapponese, una menzogna che ha la pretesa di porsi come realtà – e tuttavia ha bisogno di scinderla dalla Storia, di dimostrare che è altro dalla Storia, pur mantenendone il valore e la dignità.

  Il romanzo è una menzogna, nel senso in cui tratta dei fatti come verità. Tuttavia il romanzo fin dal principio non pretende di essere la realtà, ma crea un'altra realtà con coscienza della sua menzogna, e così si fa accettare. E in esso c'è vita. C'è valore. Anche la venerabile mitologia è nata in questo stesso modo, e si è fatta accettare. La differenza sta soltanto nella sua pretesa di considerarsi fin dal principio una realtà.


Il disagio profondo che ne consegue, tale da indurlo a isolarsi, deperire, a vivere con un continuo senso di oppressione, diviene accettabile solo con un atteggiamento di riverenza nei confronti del vivere come se (kanoyoni). Ci sono realtà che noi sappiamo non esistere, ma senza le quali non potremmo fondare l'intera sapienza umana, e quindi dobbiamo vivere come se esistessero, pur consci della loro irrealtà, della loro menzogna. Sono quelle che il protagonista definisce menzogne con coscienza. Per esempio, non esistono il punto e la linea e nemmeno gli atomi, ma è necessario considerarli "come se esistessero", altrimenti non potremmo fondare la geometria né la chimica.
  Quel "come se" non è affatto un mostro. Senza il "come se", non potrebbe esserci scienza, né arte, né religione. Tutte le cose che hanno valore nella vita umana hanno al centro il "come se".


Questa accettazione di menzogne con coscienza, menzogne imprescindibili e fondanti, menzogne con valore, consente a Hidemaro di preservare la Mitologia, pur ridefinendola annoverandola tra esse, senza così incappare in asserzioni pericolose, distruttive di quello che è il carattere più profondo del suo popolo e del suo Paese.
  Per lui, asserire la non identicità di mito e storia era un dettame della sua coscienza. Ma pur dichiarando ciò, egli pensava di poter proteggere quella parte importante della vita umana che era avvolta dal mito, come fosse il nocciolo sano di un frutto. Riteneva che stabilire quella non identicità di mito e storia mantenendo questa parte importante della vita fosse un suo dovere in quanto studioso, oltre che in quanto uomo.


Eppure, nel finale Hidemaro sembra prendere coscienza dell'inconciliabilità delle sue posizioni "moderne" con quelle "tradizionaliste" del padre, che ai suoi occhi rappresenta l'intera società giapponese, e pare capitolare, sconfitto da quella dicotomia, questa sì insuperabile, tra individuo e società:
  «Ho fatto una cattiva scelta. È una cosa da niente lavorare per distrazione o con menzogna, ma se lo si fa con un atteggiamento sincero e serio, non c'è alcuna via d'uscita. Sfortunatamente ho scelto tale professione. [...] In fin dei conti non ci può essere alcuna speranza che io giunga a un compromesso con mio padre, eh?»
«No, non è possibile ti dico.»




Impegnativo, ma illuminante.

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